giovedì 26 aprile 2018
Aldo: mio padre il pittore
Se dovessi
abbinare un odore a mio padre e alla mia infanzia sicuramente è quello
dell’acquaragia di pino, si proprio quello che emanava dallo studio di mio
padre e si diffondeva per tutta la casa, più forte indicava che era in casa e
dipingeva, meno forte che era fuori.
Aldo come tutti
gli artisti ha avuto il suo studio fuori casa dove non ci portava quasi mai ed
ovviamente era off limits per mia madre, io se ricordo bene c’ero stato non più
di un paio di volte.
Ma a casa aveva anche
il suo studio per dipingere, in effetti a lui non serviva effettivamente uno
studio, un “loft”, un grande ambiente dove chiudersi e “creare” credo che
questa idea di dipingere in uno spazio chiuso lo disgustava prima come adesso,
per lui basta un luogo qualsiasi con un tavolino e un cavalletto improvvisato,
una sedia, alcuni barattoli di latta (preferisce quelli del tonno da 400 grammi
– probabilmente perché sono già unti e si fondono bene con le terre, gli oli e
l’acquaragia); una tela, un numero imprecisato di pennelli alcuni pure
sottratti ai nipotini ed ovviamente uno straordinario punto di vista dove la
luce sotto i suoi occhi assume le più svariate e stravaganti tonalità e che sia
come soggetto una donna, un albero o una barca poco importa, ma più di tutti è
la luce che vibrando nell’aria e colpendo le forme stimola la sua immaginazione
e la sua sensibilità.
Il luogo più
adatto per questo è stato da trent’anni ad oggi Gibilmanna, che per me come per
lui è il mondo incantato il luogo dove la fiaba nasce e vive, dove esistono le
avventure, l’Isola del Tesoro e l’Isola Misteriosa e dove da un momento
all’altro un folletto (e ce ne sono tanti) sbucano all’improvviso da un’immensa
quercia “nanna”, dove più in là, si scorge nel bosco la casa della strega
cattiva che tiene prigionieri Hansel e Gretel, dove in infinite e meravigliose
passeggiate ci portava alla ricerca di luoghi mai visti e alberi maestosi
distrutti dai fulmini.
Ci preparavamo
con Mario, Giuseppina, Veronica, forse Giuditta era ancora piccolina e restava
a casa, ci mettevamo gli scarponcini, preparavamo il tascapane con della frutta
e del pane e la borraccia quella militare di alluminio rivestita di panno verde
che bagnavo per mantenerla più fresca, un bel bastone per uno e mio padre si preparava
quello con la punta biforcuta, le vipere erano in agguato - “Mai vicino alle
felci o vicino ai cumuli di pietra!” ci diceva mia madre più previdente e
fantasiosamente allarmata metteva nella borsa il siero antivipera anche se era
scaduto da alcuni anni – Meglio di niente!
Aldo si avviava e
noi dietro all’avventura e davvero erano avventure fino ai limiti del nostro
mondo, lì incontravamo l’istrice, la volpe, a volte anche un furetto, vedevamo
librarsi falchi e aquile, case meravigliose costruite da architetti illuminati
dei primi del novecento o una grande villa settecentesca ormai solo un rudere
con una grande vasca circolare dove nuotavano bisce e rane e volteggiavano le
più grandi e colorate libellule che abbia mai visto.
Mio padre così
tanto “angosciato” nella guida della sua auto, in queste passeggiate si
rivelava un grande esploratore dotato di incredibile senso dell’orientamento e
memoria fotografica, a volte credevamo di esserci persi ma mai spaventati da
questa possibilità anzi ancora più contenti.
Si credo che
questi siano stati i momenti più belli e divertenti passati con mio padre.
Certo non gli
unici, come quando a me e Mario ci portava a Mondello da “Calogero” che era
stato suo alunno all’Istituto d’Arte e facendoci promettere di non dire niente
alla mamma, ci faceva fare enormi scorpacciate di polpo, cozze e ricci, che
meraviglia! Se penso che oggi vivo cose simili con mia figlia Sofia, anche lei
adora polpo, cozze e ricci ma questo non preoccupa mia moglie. Si passava poi a
prendere il gelato e per concludere la tentata indigestione ci portava alla
bancarella di un suo stimato ed inconsapevole collega, era il “semenzaro” non
ricordo il suo nome ormai è morto da tanto tempo, mi ricordo che aveva un
occhio terribilmente strabico e probabilmente cieco, mi ricordava tanto quella
famosa spalla di Charlie Chaplin, aveva la sua baracchina tutta tappezzata di
suoi bellissimi e grotteschi disegni fatti tutti con la BIC nera in fogli di
quaderno a quadretti, mi diceva che aveva un grande talento inconsapevole e
sperava che rimanesse tale per preservare la sua purezza.
Queste piccole
gite diventavano così delle avventure, lo spirito di mio padre spesso tetro e
avvilito da mille pensieri si liberava.
Ancora ora le
cose che lo interessano di più sono quelle avventurose nel bene o nel male. La
sua curiosità non è diminuita negli anni, passa lunghe giornate a vedere
documentari in TV sulla natura, li guarda non tanto dal punto di vista
scientifico ma per la meraviglia che gli suscitano, come se parlassero di maghi
e magie.
Aldo è
affascinato dal metafisico come dalla psicanalisi, e fonde scienza e
metascienza creando una sua astratta e surreale logica. Non per nulla legge
Jung e Freud, adora i film di Bunuel e Truffaut, la vita di Houdini e Tesla, i
fumetti di Gordon Flash e la Settimana Enigmistica, i romanzi di Dostoevskij e
i racconti di Poe.
Credo che il
primo libro che ho letto è “I viaggi di Gulliver”, ma il primo che lui mi ha
dato è stato “Le avventure di Gordon Pym” di Poe, ed il secondo “Racconti” di Guy de Maupassant.
Probabilmente prima dei dodici anni avevo letto tutto Poe, alcuni romanzi di
Dostoevskij, “Le sollazzevoli Istorie” di Balzac, i fumetti dell’orrore di “Zio
Tibia”, “I Misteri di Parigi” di Sue e i romanzi di Verne.
Ecco perché
adesso mi è difficile entusiasmarmi dei nuovi scrittori.
Lo stesso Vale
per il cinema, a me e Mario ci portò a vedere prima “2001 Odissea nello spazio”
e poi “Solaris”, e alcuni anni dopo “Il Pianeta selvaggio” un film d’animazione
francese con disegni bellissimi, ovviamente tutti al cinema Fiamma.
Le grandi
catastrofi lo affascinano: come terremoti, eruzioni vulcaniche, trombe d’aria,
nubifragi, non per sadismo, ma solo per sete di conoscenza - un bel temporale
pieno di fulmini gli mette il buon umore.
L’aspetto magico
gli serve per non essere sopraffatto dalla volgarità e dalla pesantezza della
vita quotidiana, dalle infinite spese familiari, dalla voglia di godersi la
pensione e non dovere pensare più a nulla, ne alla moglie aristocratica e
stravagante ne ai cinque figli cresciuti in un mondo fantastico e meraviglioso.
Già da piccolo mi
sentivo raccontare le capacità sensitive e telepatiche di mio padre, e non solo
perché faceva dei piccoli giochi di prestigio facendo comparire o sparire
palline di carta o incantava Biagio il cagnetto, facendogli indovinare in quale
mano era la caramella, ma perché cosi mi raccontavano tutti: mi aveva salvato
dal crollo del soffitto a casa dei nonni.
Io ero dal nonno
dovevo avere circa due anni mio padre era a casa, improvvisamente avvertì che
qualcosa di pericoloso mi stava capitando, ordinò a Franca, la nostra balia, di
andarmi subito a prendere, fortunatamente abitavamo nel portone accanto;
Franca, che temeva Aldo, volò e appena fu subito fuori dall’uscio con me, il
tetto della sala da pranzo di casa del nonno crollò rovinosamente sul tavolo
dove io poco prima stavo giocando.
Un’altra vicenda
rimane inspiegabile e ancora oggi quando la racconta mi viene la pelle d’oca.
Dopo pranzo stava riposando, anche Isabella dormiva, sognò il suo amico il
poeta Alfonso Gatto che correva verso di lui dicendogli alcune cose su
Isabella, e Aldo gli gridava “ma cosa fai?” ed era quasi vergognato
dell’atteggiamento sconvolto che aveva il suo amico. Si sveglia e nello stesso
momento anche Isabella si sveglia e gli racconta di averlo sognato con Alfonso
Gatto che discutevano animatamente, mentre lei li osservava dal balcone di casa
che dava sul cavalcavia e cercava di chiamarli.
Aldo e Isabella
avevano fatto lo stesso sogno nello stesso momento, con le stesse persone negli
stessi luoghi con punti di vista diversi.
Quella stessa
sera ascoltando il telegiornale vengono a sapere che il poeta Alfonso Gatto era
morto in un incidente stradale nel primo pomeriggio a Capalbio.
Ma non significa
che non è concreto sa distinguere il bene dal male, le persone buone da quelle
cattive anche se alla fine sono tutti cattivi.
Se gli fai
simpatia è tutto OK non si ferma più di parlarti della sua infanzia, di una
Palermo meravigliosa, dei tedeschi, dei bombardamenti, della passione per gli
aerei da guerra e di suo padre che in uno dei tanti assalti popolari ai
magazzini di derrate aveva portato lui e i suoi fratelli, ma non sapendosi
imporre in quella massa d’affamati, aspettò che tutto si fosse calmato, al
ritorno con grande gioia portò a casa una tromba da capostazione e tanti libri
illustrati; di sicuro la nonna Emma non ne rimase molto contenta.
Ma se non gli vai
a genio c’è poco da fare, ma ti racconta tutto lo stesso comunque.
Ha insegnato per
più di trenta anni all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha avuto tanti
allievi, alcuni lo hanno odiato altri lo hanno amato, io preferisco quelli che
lo hanno amato non perché si tratta di mio padre ma perché di sicuro sono più
affini a me.
Se per caso va in
un luogo qualsiasi se non c’è qualcosa di bello si annoia a morte, almeno ci
deve essere una bella donna, un incendio, o un film di Totò, ma soprattutto una
bella donna.
31- agosto – 2012
Filippo Pecorano
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